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Il futuro dell'anticoagulazione orale:
le basi della scelta


In diretta dal 19th EAHP - 26 marzo 2014

L'introduzione dei nuovi anticoagulanti orali nella pratica clinica, negli ultimi anni, ha rivoluzionato l'approccio alla prevenzione tromboembolica in ambito chirurgico e cardiovascolare. Molecole come rivaroxaban, apixaban, dabigatran ed edoxaban (quest'ultimo attualmente autorizzato soltanto in Giappone per la prevenzione tromboembolica in chirurgia ortopedica) offrono indiscutibili vantaggi rispetto all'anticoagulazione classica basata sulle eparine a basso peso molecolare e inibitori della vitamina K, eliminando il problema della calibrazione personalizzata del dosaggio (anche in relazione ai polimorfismi genetici esistenti e alla diversa risposta all'anticoagulazione da parte dei pazienti), il ritardo nella comparsa e nel venir meno dell'effetto anticoagulante e, nel caso di warfarin, le criticità legate alle interazioni sfavorevoli con altri farmaci e con la dieta, nonché il disagio dei frequenti controlli dell'INR necessari per assicurare il mantenimento del dosaggio nella finestra terapeutica. D'altro canto, anche l'impiego dei nuovi anticoagulanti orali presenta alcune aree di incertezza, per esempio riguardo alla risposta e alla sicurezza a lungo termine dell'anticoagulazione orale (a causa della limitata esperienza d'uso clinico) e all'aderenza alla terapia. In aggiunta, non possono essere trascurate considerazioni in merito al costo dei nuovi anticoagulanti, fino a dieci volte superiore a quello di eparine a basso peso molecolare e warfarin: un fattore che, soprattutto in un'epoca di continua contrazione dei budget sanitari e di difficoltà economica generalizzata, potrebbe limitare la rimborsabilità e l'accesso alle nuove molecole. Resta poi da chiarire quale tra le tre molecole disponibili sia da preferire nel singolo paziente.

«Negli studi registrativi e nelle metanalisi condotte finora, i nuovi anticoagulanti orali si sono invariabilmente dimostrati superiori agli inibitori della vitamina K nel prevenire gli eventi tromboembolici senza aumentare il rischio di sanguinamenti maggiori», ha affermato Sabine Eichinger della Medical University di Vienna (Austria) in occasione del 19° Congresso European Association of Hospital Pharmacists - EAHP "The innovative hospital pharmacist - imagination, skills and organisation" (26-28 marzo - Barcellona, Spagna). «Tuttavia, le diverse molecole non sono sovrapponibili tra loro. In primo luogo, il target dell'azione anticoagulante è differente: rivaroxaban, apixaban ed edoxaban sono inibitori diretti del Fattore Xa, mentre dabigatran agisce sulla trombina. Inoltre, sono diversi l'efficienza dell'assorbimento intestinale e la conseguente biodisponibilità (anche in relazione all'assunzione o meno di cibo), i tempi di raggiungimento della Cmax e la persistenza dell'azione anticoagulante (t½). A riguardo, va ricordato che l'assorbimento intestinale dei nuovi anticoagulanti orali è influenzato dalle glicoproteine P presenti nella mucosa e che tutti i fattori che interferiscono con l'attività di queste ultime possono alterare la risposta anticoagulante. Questo è vero, in particolare, per farmaci come amiodarone, antimicotici azolici, fenotiazine, verapamil, ciclosporine, antimalarici ecc. In aggiunta, esistono possibili interazioni sfavorevoli con farmaci che coinvolgono i sistemi basati sul CY3A4, con farmaci antinfiammatori non steroidei come acido acetilsalicilico, naprossene e diclofenac, e con antiaggreganti come clopidogrel. I diversi anticoagulanti orali vengono anche escreti diversamente, incidendo in misura più o meno importante sulla funzionalità renale (80% escrezione renale per dabigatran; 27-35% per gli altri). Al momento di scegliere la molecola da somministrare va, quindi, valutato questo aspetto, ricordando che non è sufficiente misurare i valori di creatinina, ma serve calcolare il rapporto tra creatinina e clearance renale. Per finire, bisogna tener conto delle specifiche controindicazioni all'uso dei nuovi anticoagulanti nel singolo paziente, ossia la presenza di valvole cardiache artificiali, la fibrillazione atriale valvolare, la gravidanza e condizioni di insufficienza renale, gravi coagulopatie o epatopatie. Per offrire a ciascun paziente la migliore strategia anticoagulante e scegliere in modo razionale il farmaco da somministrare è necessario esaminare tutti questi aspetti in relazione al quadro clinico, ricordando che, al momento, soltanto rivaroxaban è autorizzato, oltre che per la prevenzione tromboembolica in chirurgia ortopedica e dell'ictus nella fibrillazione atriale, anche per la prevenzione del tromboembolismo venoso e delle sindromi coronariche acute».

Riguardo a quale delle tre molecole autorizzate in Europa rappresenti la soluzione maggiormente costo-efficiente, resta invece un ampio margine di incertezza. «In base ai risultati di un nostro studio di costo-efficienza che ha comparato rivaroxaban, apixaban, dabigatran nella prevenzione dell'ictus in pazienti con fibrillazione atriale residenti in Norvegia, stratificati per classi di rischio sulla base del CHADS2», ha affermato Marianne Klemp del Norwegian Knowledge Centre for the Health Services (NOKC) di Oslo, «la strategia maggiormente costo-efficiente in termini di effetto incrementale/QALY sembrerebbe essere lo schema basato sulla somministrazione sequenziale di dabigatran (150 mg/die o 110 mg/die dopo gli 80 anni), seguito dalla terapia con apixaban, in accordo con quanto raccomandato dalla European Medicine Agency (EMA). Considerando le indicazione della European Society of Cardiology e riducendo il dosaggio di dabigatran da 150 a 110 mg/die a 75 anni, anziché a 80 anni, la scelta maggiormente costo-efficiente diventa, invece, apixaban. Tuttavia, le variabili in gioco nel definire la costo-efficienza sono numerose e al momento non è possibile trarre conclusioni definitive».