Il contesto sanitario, gli approcci clinici e le richieste dei pazienti cambiano, il farmacista ospedaliero deve rispondere, rimodulando il proprio ruolo e ridefinendo le proprie aeree di competenza per offrire un miglior supporto ai medici nella gestione di terapie sempre più complesse e personalizzate e ai destinatari delle cure un counselling efficace, che tenga conto anche degli aspetti comunicativi e relazionali. Ma quali sono i nuovi bisogni dei pazienti e come dovrà evolvere il profilo del farmacista ospedaliero nei prossimi anni per non disattendere a esigenze sempre più estese e diversificate, che vanno ormai ben al di là dei confini del Servizio di Farmacia ospedaliera? Lo ha spiegato Roberto Frontini, presidente della European Association of Hospital Pharmacists (EAHP) durante la sessione "The Hospital Pharmacist 2020: a changed profile", organizzata in occasione del 19° Congresso EAHP "The innovative hospital pharmacist - imagination, skills and organisation" (26-28 marzo - Barcellona, Spagna).
I nuovi bisogni dei pazienti e le risposte da offrire
«Che l'attività del farmacista ospedaliero non debba limitarsi alla gestione e preparazione dei farmaci, ma arrivare al letto del paziente e contribuire, di concerto con il medico e gli infermieri, ad assicurare una presa in carico ottimale a 360° non è un'idea nuova», ha sottolineato Roberto Frontini. «Se si ripercorre la storia della professione, ci si accorge che il farmacista ha avuto fin dall'inizio un ruolo clinico. Già lo Statuto dell'Ospedale maggiore della SS Annunziata di Savigliano, nel 1762, precisava che "al farmacista è fatto obbligo di seguire il medico nelle visite ai ricoverati... anzi farà altre visite ogni giorno per osservare il male degli infermi più aggravati e il bisogno che repentinamente potessero avere". Inoltre, lo stesso Statuto indica che egli "dovrà preparare i medicamenti prescritti e portarli lui agli infermi... esortando caritatevolmente e con piacevolezza a prenderli". Il che equivale ad assegnare al farmacista anche il compito di istruire su come assumere le terapie, stimolando a farlo nel modo prescritto e non soltanto attraverso informazioni chiare, ma anche ponendosi con un atteggiamento adeguato a favorire un'interazione positiva con il paziente. Il tutto nell'ottica di ottenere il miglior esito clinico nel singolo caso. Il beneficio del paziente deve essere posto al centro del processo assistenziale, e quest'ultimo dovrà sempre prevedere un lavoro di team. Oltre alla capacità di fornire il "farmaco giusto, al paziente giusto, nel momento giusto", derivante dall'approfondita conoscenza dei medicinali che lo contraddistingue, il farmacista ospedaliero deve, quindi, sviluppare competenze relazionali e comunicative per interfacciarsi produttivamente con i pazienti, con gli altri professionisti sanitari e con il personale amministrativo dell'ospedale. Queste abilità comunicative, che finora non sono state contemplate dai percorsi formativi, né accademici né post-accademici, diventeranno sempre più importanti nei prossimi anni. La crescente introduzione di terapie personalizzate e complesse e di farmaci di nuova generazione costosi aumenterà il bisogno di informare i pazienti sulle caratteristiche dei trattamenti, di confrontarsi con i medici sul loro impiego appropriato e di discutere con gli amministratori le ragioni della scelta dell'uno o dell'altro farmaco».
Educare sui farmaci nell'era dell'informazione globale
«Ormai da alcuni anni, attraverso Internet e i media tradizionali, i cittadini ricevono e cercano ogni giorno un numero consistente di informazioni medico-scientifiche, e ciò li ha portati a maturare un'apparente "consapevolezza" delle patologie di cui soffrono e delle terapie disponibili per contrastarle», ha ricordato Roberto Frontini. «Purtroppo, in molti casi si tratta di informazioni superficiali, poco equilibrate o addirittura scorrette, che generano attese irrealistiche rispetto alle effettive possibilità di cura, oppure una resistenza a sottoporsi a un determinato trattamento per il timore di effetti collaterali ritenuti intollerabili, anche quando non lo sono da un punto di vista propriamente clinico o appaiono comunque giustificati dai benefici della cura. Contemporaneamente, si è sviluppata una maggiore attenzione verso aspetti legati alla qualità di vita durante e dopo i trattamenti e una generale minore disponibilità ad "accettare" e gestire eventuali eventi avversi (talvolta non clinicamente rilevanti, ma ritenuti tali a livello soggettivo). In non pochi casi, l'informazione fornita è corredata di riferimenti scientifici che rimandano a studi pubblicati in letteratura apparentemente in linea che i contenuti dell'articolo divulgativo, ma di fatto travisati oppure riportati in modo parziale, con esito discutibile. Anche se avesse la buona volontà di verificare la fonte, un paziente non esperto di studi clinici difficilmente riuscirebbe a trarre una conclusione corretta sui benefici o i rischi associati a una determinata terapia. Il farmacista ospedaliero ha la competenza e l'autorevolezza per riproporre le informazioni nella giusta prospettiva, dipanare i dubbi e rassicurare il paziente, soprattutto nel caso di terapie poco note, con aspetti problematici o messe in discussione in relazione a specifici fatti di cronaca. Nel farlo, non è sufficiente fornire dati "neutri", come percentuali d'efficacia e rapporti di rischio, che peraltro il paziente potrebbe non essere in grado di interpretare. Bisogna concentrarsi sulle informazioni rilevanti per il paziente (che, in genere, corrispondono agli effetti della terapia nella vita quotidiana) e comunicarle in modo empatico, ascoltando i bisogni e tenendo conto del profilo psicologico della persona che si ha di fronte. Le stesse competenze comunicative e relazionali saranno determinanti anche nel sostegno all'aderenza alle cure avviate in ospedale e da proseguire a domicilio, tipicamente molto bassa se non affiancata da una costante azione di monitoraggio e counselling».
Evolvere: una necessità non più rinviabile
Ma è davvero necessario che il farmacista ospedaliero si faccia carico di un ruolo così delicato e articolato? E come può prepararsi ad affrontare tutte le richieste che gli saranno poste nei prossimi anni? «Evolvere e migliorare non è una scelta, ma una necessità ed è bene prenderne atto rapidamente, se non si vuole che altri professionisti occupino altrettanto rapidamente il posto del farmacista ospedaliero», ha sottolineato Roberto Frontini. «I pazienti hanno il diritto di ricevere terapie appropriate e informazioni complete, affidabili e comprensibili a riguardo, così come di essere affiancati da una figura di riferimento durante tutto l'iter di cura. Il farmacista ospedaliero ha, già oggi, tutte le competenze tecniche e conoscitive per assolvere a questo compito. Quel che manca per abbattere le barriere verso una presa in carico ottimale è il potenziamento degli aspetti comunicativi e relazionali, alla base di un'interazione efficace con tutti gli attori del processo assistenziale. In aggiunta, si dovrà imparare a sfruttare tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, che amplificano enormemente le possibilità di scambio informativo con gli altri professionisti sanitari dentro e fuori dall'ospedale e di interazione e monitoraggio del paziente dopo la dimissione. In questo modo, il farmacista ospedaliero del 2020 diventerà a tutti gli effetti un anello di congiunzione e armonizzazione tra il paziente, il medico e la terapia, con vantaggi per tutto il sistema».