Senza innovazione non c'è evoluzione, né per i sistemi sanitari né per la società nel suo complesso. Per promuovere l'innovazione servono professionisti formati, adeguate risorse strutturali ed economiche, capacità di pianificazione strategica e una precisa volontà politica. La crisi economica che i Paesi europei stanno attraversando ormai da alcuni anni e che stenta a esaurirsi ha eroso i capitali disponibili per assicurare livelli assistenziali adeguati alla popolazione e, a maggior ragione, per avviare progetti innovativi in ambito pubblico e privato. Ma non ne ha diminuito la necessità, rendendola al contrario ancora più impellente per promuovere l'uscita da una situazione di stallo che rischia di diventare involutiva. Tutti gli attori del sistema hanno, non soltanto la potenzialità, ma anche il dovere di partecipare attivamente alla promozione dell'innovazione e il farmacista ospedaliero riveste un ruolo cardine in questo processo. Sulla base di tale consapevolezza, proprio all'innovazione declinata in tutte le possibili sfaccettature è stata dedicata la 19esima edizione del Congresso della European Association of Hospital Pharmacists - EAHP "The innovative hospital pharmacist - imagination, skills and organisation" (26-28 marzo - Barcellona, Spagna).
Verso il rinnovamento del profilo professionale
«Il primo aspetto da innovare», ha sottolineato Roberto Frontini, presidente dell'EAHP, durante la cerimonia d'apertura del congresso, «è il profilo stesso del farmacista ospedaliero e la prima domanda che ci si deve porre è che cosa vuole essere o diventare il farmacista ospedaliero nei prossimi anni. Su questa base va, poi, ridefinito l'iter formativo da seguire per sviluppare le competenze necessarie per assolvere nel migliore dei modi i nuovi compiti individuati. Il secondo aspetto su cui interrogarsi è come può essere migliorata l'attività della farmacia ospedaliera, in termini di qualità e tipologia dei servizi e delle consulenze che può offrire all'interno dell'ospedale e oltre i suoi confini, migliorando l'appropriatezza delle cure, attuando una puntuale farmacovigilanza e contribuendo fattivamente allo sviluppo post-marketing dei farmaci. Rispondere a queste domande è cruciale per capire in che direzione muoversi e quale forma dare all'innovazione in farmacia ospedaliera. L'EAHP è da sempre impegnata nella promozione dell'evoluzione della farmacia ospedaliera e nel potenziamento del suo ruolo clinico. Per favorire la preparazione di figure professionali all'altezza delle proprie mansioni in tutti i Paesi europei, è stato recentemente stilato un elenco di criteri minimi che tutti i farmacisti ospedalieri europei dovranno soddisfare nei prossimi anni: il relativo statement sarà ufficializzato in occasione del Summit EAHP che si terrà a Bruxelles a metà maggio. Sul piano operativo, l'EAHP sta invece portando avanti il progetto Good Practice Initiatives, indirizzato a raccogliere e far conoscere le procedure e le attività d'eccellenza realizzate dai farmacisti ospedalieri dei diversi Paesi europei, con l'auspicio che esse possano essere mutuate in altri contesti e stimolare ulteriori proposte di miglioramento sul piano organizzativo, clinico e gestionale, in una logica di innovazione continua e condivisa».
La via spagnola all'evoluzione in sanità
«L'innovazione è un concetto estremamente stimolante», ha sottolineato Mercedes Martinez Vallejo, esperto tecnico del Comitato per la Qualità dei farmaci e dei prodotti sanitari del ministero della Salute, dei Servizi sociali e dell'Equità del Governo spagnolo, «ma per realizzarla concretamente è indispensabile capire in che cosa consiste esattamente e come misurarla. La strategia spagnola verso l'innovazione in sanità prevede il fattivo sostegno governativo allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche e nuove tecnologie. Il farmacista ospedaliero riveste un ruolo chiave in questo processo e deve non soltanto essere in grado di sfruttare al meglio le nuove tecnologie, ma anche intravederne applicazioni innovative orientate a migliorare ulteriormente il supporto al paziente, l'efficienza delle prestazioni, l'appropriatezza e la sicurezza delle terapie somministrate. La cartella clinica elettronica e l'informatizzazione della farmacia ospedaliera sono una prima applicazione di successo di questo approccio. Nei prossimi anni, il farmacista ospedaliero dovrà, inoltre, essere coinvolto in modo sistematico negli studi clinici e mettere a disposizione le proprie conoscenze farmacologiche e l'esperienza pratica maturata nell'uso e nel monitoraggio dei farmaci per ridurre i rischi per i pazienti arruolati nei trial e ottimizzare le informazioni ottenibili da questi ultimi, accelerando l'introduzione sul mercato di nuovi farmaci. Nel caso di farmaci biologici e terapie avanzate utilizzati in ambito ospedaliero in fase pre-registrativa, il farmacista ospedaliero può offrire una consulenza affidabile e ponderata anche in sede di definizione delle strategie di rimborso e nella loro attuazione, soprattutto qualora venga individuato un sistema di rimborso condizionato, in funzione degli esiti clinici. Quando usati in modo appropriato, i farmaci biologici sono vantaggiosi non soltanto per i pazienti, ma anche per i sistemi sanitari: i farmacisti ospedalieri dovranno contribuire a farli conoscere ai medici sul territorio, anche nell'ottica di favorirne un'assunzione più serena da parte dei pazienti. Non va, poi, dimenticato il bagaglio conoscitivo e le competenze tecnico-pratiche che il farmacista ospedaliero può offrire nel miglioramento del trattamento delle malattie rare e nella gestione dei farmaci orfani, altro ambito nel quale dovrà essere coinvolto in modo più strutturato».
La collaborazione come chiave dello sviluppo
«Di innovazione esistono molte definizioni, e ciascuno sceglie quella che meglio si adatta al proprio ambito d'attività» ha sottolineato Daan Crommelin, direttore scientifico dell'Utrecht Institute of Pharmacological Science - Università di Utrecht (Paesi Bassi). «In termini molto generali, la si può definire come il processo che determina un miglioramento introducendo qualcosa che prima non esisteva (un farmaco, una tecnologia, una strategia organizzativa ecc.). Quel che è certo, e l'aveva compreso già Darwin un paio di secoli di fa, è che l'innovazione è irrinunciabile perché soltanto gli organismi in grado di cambiare ed evolvere sono premiati con la sopravvivenza. In ambito scientifico, l'innovazione non può prescindere dalla disponibilità di risorse da investire in ricerca e sviluppo. Consapevole di questa necessità, la Comunità europea, nel 2000, con la "Strategia di Lisbona" aveva individuato nel 3% del Pil la percentuale che ogni Stato membro avrebbe dovuto destinare a questo settore entro il 2010. Erano altri tempi: la crisi economica ha impedito anche ai Paesi più propensi a orientarsi in questa direzione di sfiorare la soglia, raggiunta nel 2011 soltanto dalla Svezia (3,3%). Nello stesso anno, il Giappone investiva il 3,67% del Pil, la Corea del Sud il 3,74% e Israele il 4,2% (l'Italia era ed è in coda con l'1,1%, poco sopra la Russia 1% e lo 0,9% di India e Brasile). Se gli investimenti pubblici scarseggiano, così non si può dire di quelli, sempre più consistenti, messi in campo dalle aziende farmaceutiche nel tentativo di sviluppare farmaci innovativi. I risultati, tuttavia, almeno da un paio di decenni a questa parte, non sembrano premiare gli sforzi. Le nuove entità terapeutiche che arrivano all'autorizzazione sono complessivamente poche e, spesso, incontrano resistenze all'introduzione sul mercato e alla loro diffusione. Di fronte a questo fenomeno, la sensazione è che si stia facendo un esagerato utilizzo del principio di precauzione, evitando di prendersi la responsabilità di qualunque nuovo prodotto che, insieme a vantaggi dimostrati, comporti anche qualche rischio. Con un approccio di questo tipo, la scala a pioli, la ruota e l'automobile non sarebbero mai state messe in commercio. Per promuovere l'innovazione in ambito sanitario nei prossimi anni servirà sviluppare collaborazioni strategiche tra pubblico (enti governativi e università) e privato (industria farmaceutica), che prevedano oltre al contributo economico condiviso anche un accordo sugli aspetti normativi e sulle procedure da seguire per facilitare l'autorizzazione dei nuovi farmaci sviluppati e il loro uso clinico. Un esempio positivo di questo tipo di collaborazione è la Innovation Medicine Initiative (IMI) olandese: un consorzio pubblico-privato, nel quale ciascun attore si è impegnato inizialmente con un investimento di un miliardo di euro e che si prevede verrà proseguito almeno fino al 2020, con ulteriori 3,5 miliardi di euro di fondi e il coinvolgimento di ulteriori partner tecnologici (IMI II)».